Roma ed i suoi Re
Dopo
la morte di Romolo, il potere regale a turno fu detenuto da sabini e latini,
il sabino Numa Pompilio, secondo re, viene presentato come un uomo pio,
sotto il cui pacifico regno furono create le principali cariche sacerdotali
e istituzioni religiose ,in particolare si riformò il calendario;
il suo successore fu il latino Tullio Ostilio, un re guerriero che condusse
una lotta senza tregua contro Alba Longa, la città ma-dre di Roma,
riuscendo infine a conquistarla.
Il quarto re fu il sabino Anco Marzio, di lui si ricorda l’aver
esteso i territori di Roma fino al mare e di aver fondato Ostia alla foce
del Tevere, la questione si complica con i successivi tre re conosciuti
dalla tradizione, i due Tarquini e Servio Tullio, in quanto entra in ballo
l’influenza etrusca a Roma.
Tarquinio Prisco era etrusco, emigrato a Roma fu accolto solo negli ambienti
più influenti della città e scelto come re alla morte di
Anco Marzio, governò per circa 35 anni e secondo gli storici romani,
cambiò volto alla città ; a lui succedette Servio Tullio,
personaggio di origini oscure che si impadronì del trono con una
rivolta di
palazzo dopo l’assassinio di Tarquinio Prisco.
Il lungo regno di Servio Tullio terminò anch’esso violentemente
con il suo assassinio, dopo di lui toccò al genero, Tarquinio il
Superbo che aveva organizzato la congiura ed era figlio o nipote del primo
Tarquinio; questo re si dimostrò brutale ed arrogante,tanto che
fu deposto da un gruppo di aristocratici che instaurò il governo
repubblicano nel 509 a.C.
Questo svolgimento degli eventi è piuttosto schematico e forse
lontano dalla realtà, per esempio l’imperatore Claudio trovò
delle informazioni su un re chiamato Ma starna, che non compariva nella
tradizionale lista dei sette re riportata dagli storici, la sua testimonianza
fa supporre che nel VI sec.a.C. a Roma vi siano stati più di tre
re, evidenziando quindi che la storia dinastica del periodo sia molto
confusa.
Lo stesso discorso vale per la caduta della monarchia, la tradizione narra
che essa sia stata provocata dal risentimento per la violenza fatta a
Lucrezia, una matrona romana, moglie del nobile Collatino, da parte di
uno dei figli di Tarquinio.
Tarquinio fu espulso, ma cercò di ritornare con l’aiuto di
Porsenna, re di Clusio, a questo punto la tradizione ci racconta che l’attacco
del re etrusco fu respinto dai romani, grazie al coraggio di Orazio Coclite
sul ponte Sublicio e che la città fu salva, è più
probabile invece che la versione patriottica cercasse di coprire quella
più sgradevole dell’effettiva conquista di Roma da parte
di Porsenna e della conseguente caduta della monarchia.
Comunque siano andate le cose, i particolari della storia hanno una relativa
importanza, ciò che conta è la realtà degli elementi
fondamentali, le caratteristiche della società romana nell’ultimo
periodo della monarchia, nella quale va notato un sensibile , ma determinante,
cambiamento.
Gli ultimi re, infatti , si appoggiarono al popolo e sfidarono il potere
e i molti privilegi dell’aristocrazia, Tarquinio Prisco ottenne
il trono facendo propaganda fra le masse e fece entrare in senato uomini
nuovi, molto di più fecero Servio Tullio e Tarquinio il Superbo,
i quali dimostrarono disprezzo per le tradizionali procedure e attaccarono
l’aristocrazia senza pietà; gli ultimi due re si impadronirono
del potere in maniera illecita e governarono senza curarsi di ottenere
il consenso degli dei o il voto dei comizi curiati.
Tarquinio il Superbo andò oltre, ignorando completamente le delibere
del senato e mandando a morte i suoi membri più influenti, comportamento
che richiama alla mente quello dei tiranni delle città greche,
e come loro gli ultimi tre re di Roma intrapresero un’ambiziosa
politica estera, favorirono la costruzione di grandiosi edifici e incoraggiarono
le arti.
Ma l’aspetto più importante della tirannia era il suo carattere
demagogico, i tiranni espropriavano le ricchezze dei loro nemici aristocratici
e le distribuivano ad amici e sostenitori, attaccavano i privilegi oligarchici
ed estendevano il diritto di cittadinanza a gruppi più numerosi,
per esempio le riforme costituzionali di Servio Tullio vanno esaminate
alla luce di queste considerazioni, proprio a questo re infatti viene
attribuita la creazione dei “comitia centuriata” ,una nuova
assemblea nella quale i cittadini venivano distribuiti in unità
votanti chiamate centurie e classificate secondo i beni posseduti e le
armi e armature che erano in grado di fornire in caso di guerra.
Naturalmente questa nuova organizzazione rispecchia delle condizioni successive
e non può risalire al VI sec.a.C. ,non c’è invece
motivo di dubitare sulla divisione in centurie, anche se a lui è
da attribuire un sistema più semplice che probabilmente prevedeva
una sola classe di fanteria; i fanti erano cittadini con un minimo di
beni, chiamati “adsidui” per distinguerli da quelli poveri,
chiamati “infra classem” cioè al di sotto della classe
e di conseguenza esclusi dall’esercito, per ultimi i veri poveri
che erano chiamati “proletarii” perché producevano
solo prole.
Secondo la più accettata interpretazione, la classe della fanteria
era composta in origine da 60 centurie (questo divenne poi l’effettivo
di una legione romana) con a fianco 6 centurie di cavalleria, se è
logico supporre che all’epoca della sua introduzione la centuria
fosse un corpo di 100 uomini ciò significherebbe che al tempo di
Servio Tullio la città di Roma poteva disporre potenzialmente di
6000 fanti e di 600 cavalieri.
E’
probabile che la riforma portò anche all’introduzione di
tecniche militari più perfezionate e di un metodo di combattimento
disciplinato e in formazione serrata, tecnica questa che i romani pare
abbiano appreso dagli Etruschi, che a loro volta l’avevano adottata
dalla fanteria pesante greca, gli opliti ; quest’ultimi, come gli
“adsidui” di Servio Tullio erano abbastanza ricchi da potersi
permettere un equipaggiamento così costoso.
Servio Tullio modificò anche l’ordinamento della cittadinanza
creando delle nuove tribù territoriali , i cittadini vi erano assegnati
in base alla loro residenza e questo sistema ebbe come conseguenza la
naturalizzazione di un gran numero di immigrati e di persone che non appartenevano
alle “curiae” ed erano di conseguenza escluse dalla cittadinanza,
da quel momento le vecchie tribù romulee e le “curiae”
divennero sempre più obsolete.
Il carattere popolare e antiaristocratico del regime degli ultimi re trova
conferma dal successivo atteggiamento dei romani nei riguardi dell’istituzione
della monarchia, durante il periodo repubblicano infatti il solo pensare
ad un re causava una forte repulsione, ma è difficile credere che
tutto ciò fosse causato dai misfatti di Tarquinio il Superbo, è
molto più plausibile invece che dipendesse dall’orientamento
aristocratico della classe dominante della repubblica, la quale era dominata
da una ristretta oligarchia di nobili che rivendicavano l’esclusivo
diritto di spartirsi il potere, fregiando questo stato di cose con il
nome di “libertas”….libertà.
I romani furono sempre consapevoli dell’assoluta incompatibilità
tra monarchia e libertas , difendendosi contro il ritorno dell’una
difendevano e cercavano di conservare l’altra, in tal senso è
plausibile la tradizione che vedeva i nuovi capi della Repubblica far
giurare al popolo che non avrebbero mai permesso ad un uomo di diventare
re di Roma, promulgando leggi contro chiunque avesse ambito in futuro
ad una posizione regale.
Probabilmente la vera preoccupazione dei nobili era che proprio uno di
loro potesse tentare di elevarsi sopra i loro pari curando gli interessi
delle classi inferiori e conquistare l’appoggio prendendo le loro
parti, questo spiega perché durante la Repubblica le accuse più
gravi di monarchismo (regnum) siano state formulate contro alcuni dissidenti
della classe governante la cui unica colpa, a quanto ci risulti, era quella
di dirigere risorse e sforzi personali nell’assistenza dei poveri.
Questo è quanto accadde a Spurio Cassio, condannato a morte nel
486 a.C., a Spurio Melio ucciso nel 440 a.C. ed a Marco Manlio giustiziato
nel 382 a.C. , in seguito, anche l’assassinio dei Gracchi trovò
giustificazione nel fatto che i fratelli avevano mirato al trono.
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